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mercoledì 7 marzo 2012

Fuga in prigione

Era lunghissimo quel corridoio, lo percorrevo lentamente, annusando l'odore inconfondibile d'ospedale, schivavo gente curiosa del mio arrivo, infermieri presi e indaffarati.
Arrivai alla mia stanza singola, ero come un eletto.
Riposi le mie cose ordinatamente, mentre guardavo dalla finestra con le sbarre, il mondo la fuori.
Fuori dal mondo, in un mondo parallelo, voluto come rifugio dai giorni troppo uguali, restai per un pò, a pensare e ad analizzare.
Arrivarono le belle giornate e ci fu concesso di uscire nella grande terrazza, anche'essa circondata da alte e grandi inferriate.
Il sole mi scaldava, mentre fumavo e pensavo; ricordavo un libro di Pirandello, "Uno, nessuno, centomila".
I giorni trascorrevano lenti, tutti uguali, fra i sani cibi, le sigarette, le partite a carte e le pillole.
Da li, mi sembrava di non percepire il dolore che era all'esterno, mi sentivo protetto, al di sopra di tutto.
C'erano le visite dei parenti, degli amici, che sorridenti mi stimolavano e mi rassicuravano.
C'erà qualche assenza, ma la percepivo lievemente; volevo solamente riuscire a stare bene, a non continuare l'opera autodistruttiva che m'ha sempre contraddistinto, riuscire a stare in questo mondo, a questi patti, ma con un'armatura protettiva.
Pensavo, cercavo, volevo, mi mancava.
Fuggii dalla libertà alla prigione, ossimoro come sempre, come un passero che per cercare sicurezza, si rinchiude in gabbia, smette di volare, le ali si atrofizzano, ma il cinguettio rimane immutato.

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